Il dibattito sull'intelligenza artificiale si è sinora concentrato sui potenziali pericoli ad essa collegati. Secondo Tony Prescott, professore di robotica cognitiva all'interno dell'università di Sheffield, le relazioni con i sistemi di AI potrebbero però aiutare non poche persone che soffrono di solitudine e hanno difficoltà a stabilire interazioni sociali. Una tesi che è stata espressa nel suo libro “The Psychology of Artificial Intelligence” e che potrebbe indirizzare la discussione in atto verso nuovi lidi.
L'AI come risposta a solitudine e isolamento sociale
Tony Prescott, che è anche cofondatore di Sheffield Robotics, un centro di ricerche sulla robotica, è in grado di mixare le competenze di robotica e intelligenza artificiale a quelle di psicologia e filosofia. Un eclettismo tale da renderlo un’autorità di spicco per quanto concerne l’interazione tra cervello umano e AI. Nel corso dei suoi studi sulla ricreazione della percezione, della memoria e delle emozioni in entità sintetiche, ha di fatto permesso grandi passi in avanti per quanto riguarda la comprensione scientifica della condizione umana. I suoi studi sulla solitudine e sulla nocività della stessa sulla salute dell'uomo, sono stati riversati nel suo libro, in cui propone una tesi di fondo: gli sviluppi della tecnologia dell’intelligenza artificiale potrebbero contribuire a rendere meno drammatico tale problema. Secondo Prescott, le persone possono cadere in una vera e propria spirale di solitudine, tale da contribuire al loro estraniamento, aggravato dalla diminuzione dell'autostima. Proprio l'intelligenza artificiale potrebbe dare un grande contributo a rompere questo ciclo dannoso, garantendo agli interessati la possibilità di affinare e rafforzare le proprie abilità sociali. Il punto di partenza in tal senso è da individuare in uno studio dello scorso anno. Il rapporto in questione ha rilevato come la disconnessione sociale sia in grado di risultare addirittura più dannosa per la salute delle persone ove raffrontata all’obesità. È infatti collegata a un rischio maggiore di malattie cardiovascolari, demenza, ictus, depressione e ansia, sino ad incrementare il rischio di decesso giovanile del 26%. A rendere ancora più sorprendente lo studio sono proprio i dati alla sua base. Sono addirittura 3,8 milioni le persone che soffrono di solitudine cronica, all'interno del Regno Unito. Mentre un'altra ricerca, condotta negli Stati Uniti, dai ricercatori di Harvard, attesta come il 61% dei giovani adulti e il 36% degli adulti statunitensi dichiarino una condizione di solitudine significativa.
Le conclusioni di Tony Prescott
È lo stesso Prescott a trarre le conseguenze di questi dati, affermando: “In un’epoca in cui molte persone descrivono la propria vita come solitaria, potrebbe essere utile avere la compagnia dell’intelligenza artificiale come forma di interazione sociale reciproca, stimolante e personalizzata. La solitudine umana è spesso caratterizzata da una spirale negativa in cui l’isolamento porta a una minore autostima, che scoraggia ulteriori interazioni con le persone”.
Per poi ricordare che proprio la compagnia di sistemi di intelligenza artificiale potrebbe dare il suo contributo a spezzare quello che si prospetta alla stregua di un circolo vizioso. Potrebbero infatti rafforzare il senso di autostima degli interessati, aiutandoli al contempo nel mantenimento o nel miglioramento delle abilità sociali. Ove ciò accadesse, gli individui sarebbero in grado di trovare compagnia sia con altri esseri umani che con quelli artificiali.
Al tempo stesso, Prescott non ha timori nel riconoscere gli eventuali rischi connessi a questo genere di interazioni. Per impedire che la compagnia dell'AI possa essere progettata nel preciso intento di stabilire una vera e propria dipendenza da parte degli esseri umani, allontanandoli di conseguenza dalle relazioni coi propri simili, il professore afferma infatti la necessità di un quadro di leggi in grado di allontanare eventuali pericoli di questa portata.