Vi siete mai chiesti come fa Windows a sapere che un certo file lo avete scaricato da Internet?
L’informazione deve risiedere da qualche parte, altrimenti un file sarebbe esattamente come tutti gli altri, un file locale.
Ebbene, questa caratterizzazione avviene per mezzo di una funzionalità di sicurezza introdotta con Internet Explorer (ma che è propria di tutti gli altri browser e molti altri software in uso su Windows) e viene rispettata da molti programmi (tutta la suite Office, per esempio, e soprattutto Windows Defender) durante l’apertura del documento scaricato: la funzionalità è comunemente indicata (ma non è un nome ufficiale) Mark-of-the-Web (MOTW) e consente di associare al file scaricato l’origine (quindi anche l’URI) dello stesso.
Secondo quali siano i tipi di file, il MOTW viene realizzato con strumenti differenti; ad esempio, nei file HTML il MOTW è semplicemente ottenuto aggiungendo (lo fa il browser che esegue il download) un commento HTML nella forma <!—save from url: ….
Negli ultimi anni il termine è divenuto sempre più protagonista della cronaca, sociale e politica.
Il problema dell’informazione è un problema antico: malafede, fini secondari, “veline”, connivenze, interessi. Tutto ha sempre minato la credibilità dell’informazione, quella “certa informazione” che non si sa mai quale sia, e che è sempre differente da “quell’altra”, quella che dovrebbe essere buona, garantita, certa. Ma come orientarsi?
Fake news è dunque un termine anglosassone per qualcosa che conosciamo da sempre, diffidiamo da sempre (con quell’istinto al complotto, alla dietrologia che un po’ stuzzica tutti) e con cui conviviamo da sempre. Se vogliamo però, fake news identifica una particolare forma di informazione drogata, quella costruita “scientificamente” con l’intento di ingannare, con l’intento di raggiungere un fine all’insaputa dei fruitori (e non semplice approvazione come nei giornali di partito che parlano “ad una parte”, accomodanti e sollecitanti).